Carissimi Cappato / Pannella / Perduca / Mecacci / Bonino / D’Elia / Stango / Mellano / Vecellio e compagni radicali tutti
Noto con dispiacere che ci sono vari punti in maniera di politica a livello globale, sui quali non vado assolutamente d’accordo con quanto espresso da vari esponenti Radicali.
Non essendomi possibile, per esigenze di lavoro, la partecipazione a Bruxelles al Consiglio Generale del Partito Radicale Nonviolento Transpartito Transnazionale (11-13 dicembre), mando quindi alcuni spunti su quanto avrei detto in quella occasione.
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La mia preoccupazione principale e’ nel non capire ne’ il senso ne’ le motivazioni, da Radicali, di un certo generale irrigidimento su piuā fronti, contro chi ci appare come “nemico”: un irrigidimento di cui non vedo lo scopo, anche perche’ non capisco in base a quale strategia si pensi che questo modo di atteggiarsi potrebbe portare ad alcun risultato, se non rendere i “nemici” ancora piu’ “nemici”.
Ci ritroviamo cosiā ad avere cuori caldi e a portare teste alte, ma a coloro per i quali diciamo di lottare, che cosa potra’ mai loro importare del nostro stato d’animo se non otteniamo niente di concreto per loro?
Peggio: sembra che anche per i Radicali come un poā per tutti, ci siano popoli oppressi di Serie A e altri popoli oppressi di Serie B, di cui non ci importa un classico fico secco. Che senso ha tutto questo?
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Per chiarezza, nel seguito trattero’ di due esempi: la Russia e l’Iran. Comincio con una premessa ispirata dall’intervento di Matteo Mecacci alla Camera, nel Novembre scorso, in un dibattito sulla politica estera e la crisi in Georgia:
“Ć evidente che il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, ha scelto un certo tipo di politica estera sicuramente diversa da quella degli anni precedenti nella scorsa legislatura”
A me sembra invece evidente che Berlusconi stia continuando la politica estera che fu di De Gasperi, di Andreotti, di Craxi, e anche di Prodi. Con uno stile fra il giullare e lo spregiudicato, ma āovviamenteā lungo le stesse linee guida.
Percheā? Perche’ l’Italia, chiunque sia al Governo, e’ e rimane una “Potenza di serie B” (semprecheā il termine āPotenzaā abbia ancora validitaā). Cosa venga deciso a Roma eā in generale di nessun interesse per la vasta maggioranza delle Nazioni e dei Popoli del Pianeta Terra.
Per tenere contenti gli Italiani e il loro Amor Patrio, a parte qualche insipido summit UE e un vacuo voto nelle decisioni NATO, l’unico modo per far finta che lāItalia abbia un considerevole peso internazionale sta nel dimostrare ogni tanto indipendenza e spregiudicatezza, rifuggendo dalla previdibilita’ almeno nelle decisioni non eccessivamente importanti.
Cāeā nessuno che ricordi quanto fece Craxi lasciando libero Abu Abbas a Sigonella nel 1985, o la capacitaā di Andreotti, nel 1991, di essere lāunico e solo Capo di Governo al mondo che ricevette telegrammi di ringraziamento sia da parte di Gorbachov, sia da parte dei āDodiciā golpisti sovietici?
Inutile quindi notare āuna politica estera molto spericolata che cerca rapporti…anche con la Libia di Gheddafiā. I quali fra lāaltro sono una scelta obbligata, visto che persino gli USA si avviano alla normalizzazione e non cāeā vantaggio alcuno a tenersi a distanza.
Continua Mecacci:
ā(in Russia) si ĆØ scelta la via militare anche per fare i conti con la Georgia, che ĆØ solo l’esempio di un Paese che vuole integrarsi nell’Unione europea, che ha una cultura profondamente europea, cosƬ come l’Ucrainaā
Il consenso fra gli specialisti invece e’ che “Misha” Saakashvili abbia attaccato per primo, lo scorso agosto.
In generale, il comportamento della Georgia post-URSS non e’ mai stato ne’ democratico, ne’ conciliatorio, ne’ liberale nei confronti delle minoranze, a cominciare da Zviad Gamsakhurdia, che dopo aver proclamato lāindipendenza georgiana nel 1991 decise di eliminare ogni autonomia a Osseti e Abkhazi.
Ricordiamoci che Saakashvili stesso ha non troppo tempo fa organizzato la solenne traslazione della bara di Gamsakhurdia (giusto per sottolineare le prospettive di liberta’ di Osseti e Abkhazi sotto il nuovo Governo…). E dopo aver bastonato gli oppositori, si e’ preso tutte le stazioni televisive. Come scrivono in occasioni separate Robert English e George Friedman sulla New York Review of Books, la Georgia lungi dal dimostrare una ācultura profondamente europeaā, si comporta nel Caucaso come una āPiccola Russiaā.
O in alternativa: se e’ europea la Georgia, perche’ non e’ europea anche la Russia?
Riguardo l’Ucraina, e’ ormai democraticamente e ripetutamente appurato che meta’ del Paese e’ russo e si sente russo. Non sono parte dello Stato Ucraino pure essi? Che messaggio abbiamo da dir loro, se la nostra politica eā caricare a testa bassa contro qualunque cosa faccia o dica la Russia? Eā questo un punto forse ancora piu’ importante da chiarire. Percheā non dimostriamo alcun interesse nel destino di certi popoli, per esempio se hanno la buona o cattica sorte di essere appoggiati dalla Russia?
E infatti, sentiamo Mecacci di nuovo:
āIl Presidente del Consiglio ha dichiarato in questi giorni che occorre evitare il ritorno alla guerra fredda. Credo che occorra che qualcuno in quest’aula ricordi che la guerra fredda va rivendicata dal momento che ĆØ ciò che ha consentito all’europa decenni di paceā
Ma non e’ stata la Guerra Fredda a consentire la āpaceā. E’ stata l’adesione di Stalin agli accordi di Yalta. Nessuna (neanche una) democrazia liberale e occidentale e’ stata fatta sviluppare se non laddove gia’ stabilito da Roosevelt, Churchill e Stalin, e nessuna rivoluzione comunista ha avuto successo se non dove gia’ deciso a priori.
Il destino di ogni Paese, Italia inclusa, eā stato scritto nel 1945 e non eā cambiato di una virgola, neanche laddove dopo la guerra lāinsurrezione comunista fosse fu piuā forte (Grecia), o la societaā non-comunista piuā solida (Ungheria).
La Guerra Fredda non ha impedito ai Sovietici di conquistare l’Europa (come se gli USA e il Regno Unito sarebbero rimasti a guardare) ma ha impedito ai polacchi, ai cecoslovacchi, ai rumeni, ai bulgari etc etc di sviluppare le loro democrazie liberali e occidentali. Anche il destino delle repubbliche baltiche (e in misura minore, della Finlandia a libertaā limitata, vittoriosa contro lāURSS ma abbandonata a Stato satellite) lo dimostra chiaro e tondo.
Andiamo a chiedere a loro quanto c’e’ da rivendicare, della guerra fredda.
E sulla minaccia che si ritorni ai vecchi confronti a muso duro con i russi: non dimentichiamoci che la Russia contemporanea, anche quella di Yeltsin, e’ sempre stata trattata dai ānostriā come una minaccia, e lāallargamento della NATO eā stato sempre sottinteso come una difesa contro la Russia, da quegli Stati dimenticati sessanta e piuā anni fa oltre la cortina di ferro.
Non meravigliamoci quindi se si comporti come se si senta minacciata (diciamocelo chiaro e tondo: lo eā), e quindi ritenga opportuno cercare di aumentare la propria sfera d’influenza. E’ di dialogo e rispetto che c’e’ bisogno, non di minacce o indignazione. Dice Nicholas Kristof poche settimane fa sul New York Times: stuzzicare un orso irritabile non e’ un sostituto per della seria diplomazia.
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Ci sono altri argomenti che mi vedono fuori dalla linea politica internazionale di parecchi dirigenti radicali.
Il piu’ eclatante e’ l’Iran, che alcuni fra noi vedono come la reincarnazione del male assoluto. Di nuovo, scegliendo il conflitto aperto (se non addirittura, auspicando quello armato, rendendo in tal modo inevitabili sia un ulteriore inasprimento della giaā dura repressione interna, sia il completamento della costruzione di una o piuā bombe atomiche), laddove niente e’ comprensibile se non si esplorano seriamente le ragioni di tutti.
Cāeā un unico motivo infatti per cui lāIran cerca di costruire la bomba atomica: per garantire la sicurezza nazionale. Questa eā unāopinione diffusa fra tutti gli esperti di strategia internazionale. Prova anche ne sia il fatto che il programma atomico eā stato cominciato da ben prima della Rivoluzione Islamica di Khomeini, ai tempi dello Shah Reza Pahlavi.
LāIran non eā certo il solo o il primo Stato a proseguire su quella strada. Giaā India e Pakistan hanno sviluppato la Bomba per difendersi lāuna dallāaltro. Non eā poi un caso che le guerre convenzionali contro Israele siano cessate allorquando eā stata resa nota lāesistenza di ordigni atomici sotto controllo del Governo di Tel Aviv/Gerusalemme.
Il fatto poi che la Corea del Nord, con la sua micro-atomica, non sia stata neā invasa neā attaccata dagli USA, sorte invece toccata al nuclearmente disarmato Iraq di Saddam Hussein, non puoā che spronare le autoritaā di Teheran a premere lāacceleratore affincheā anche una sola Bomba sia disponibile al piuā presto: per salvare la propria vita, piuā che per attaccare chicchessia.
E invece: cosa proponiamo noi? Antonio Stango su Notizie Radicali del 18 giugno 2008 invita a
“[non] concedere tempo agli ayatollah al potere [e pretendere] entro pochi mesi, un governo iraniano che tuteli le libertĆ e i diritti umani, fermi la corsa allāarma nucleare e rinunci alle manovre terroristiche allāesteroā
A parte che mi sembra avessimo smesso di sognare di esportare la democraziaā¦possibile che non ci rendiamo conto che non cāeā bisogno di essere amici degli Ayatollah per capire che una volta messi allāangolo con il rischio di essere eliminati da un momento allāaltro, faranno quanto di piuā logico e metteranno davvero insieme una bomba nucleare, magari rudimentale, magari āsporcaā ma ovviamente pronta allāuso?
Dovāeā la Noviolenza in tutto questo? Non eā quasi banale dire che per uscire fuori da questo circolo vizioso, ed evitare un conflitto di qualsivoglia genere, bisogna andare alle radici del problema, che rimane la questione della sicurezza per lāIran stesso, islamico o democratico che sia?
Chi lo dice? Lo dice il famoso Hans Blix. Lo dicono George Perkovich, Direttore del Programma di Nonproliferazione al Carnegie Endowment for International Peace, e Pierre Goldschmidt, gia’ vice Direttore della International Atomic Energy Agency. Lo dice Zbigniew Brzezinski, gia’ consigliere di Carter. Lo dice lo scrittore e giornalista Christopher de Bellaigue. Lo dice il New York Times, in un editoriale senza firma del 28 Maggio 2008.
Lāunico modo per evitare la tragedia di una guerra eā condurre dei negoziati seri con lāIran: e lāunico modo per essere seri eā garantire allāIran che lāEuropa, e gli USA smettano di appoggiare tentivi piuā o meno segreti di colpo di Stato violento in Iran.
Ogni altro atteggiamento porteraā a morti e distruzione. Ovviamente, e logicamente. In barba alla nonviolenza.
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E infine, riguardo la Cina. Non e’ stato possibile convincere nessun Radicale della necessita’ di non far finta di niente dopo il terribile terremoto del Maggio scorso.
Mi e’ stato detto che un terremoto e’ una tragedia non politica: al che rispondo che prima di tutto a uccidere le persone in caso di terremoto sono gli edifici che crollano, e non il tremore della terra. E cosa c’e’ di piu’ politico, e di piuā colossale esempio di assenza dei piuā minimi controlli democratici, che l’incuria da parte di Governi un po’ in tutto il mondo (Cina, e Italia incluse, ovviamente)? I quali Governi permettono l’edificazione fuori norma, magari proprio di quelle scuole dove ci sono i bambini e quindi il futuro di innumerevoli famiglie.
Se ne eā accorto nessuno, fra una bandiera tibetana e lāaltra, che il Primo Ministro cinese Wen Jiabao si eā fatto fotografare piuā volte seriamente impegnato a lavorare per aiutare i terremotati? Davvero tutto cioā eā stato fatto senza che avesse valenza politica?
Mentre di noi che impressione saraā rimasta, se non di cinici, barbari e cattivi, tutti presi a difendere i tibetani calpestando i morti altrui (e adesso, impegnati a viso aperto nel fomentare movimenti nazionali di resistenza dentro lo Stato cinese, manco fossimo a un remake delle lotte russo-giapponesi riguardo la Manciuria).
Cosa vogliamo ottenere, dalla Cina? Una capitolazione ignominiosa? Tante scuse e il ritiro immediato dal Tibet? Chissa’: se cosi’ fosse, cio’ spiegherebbe il deserto assoluto nei nostri cuori, incapaci di manifestare alcuna solidarieta’ di fronte a migliaia di morti.
Ma se cosi’ fosse, qualcuno mi puo’ spiegare di che strategia si tratti? Qual’e’ l’idea di fondo, come vogliamo ottenere quanto vogliamo ottenere, dalla Cina, presentandoci noi stessi a muso duro, indifferenti, miopi e agitatori pronti a tirare nel mucchio?
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In ultilma analisi, anche lāindignazione, come dice in risposta a una lettera il giaā citato George Friedman riprendendo il noto giornalista e politico statunitense Strobe Talbott scrivendo su Time Magazine del 1979 non a caso dell’Iran, non eā una politica estera.
Questo eā il tema di fondo. E allora con lāessere Radicali cosa c’entra l’agire da nemici āgiurati a prescindereā della Russia, il manifestare noncuranza contro Abkhazi e Osseti meridionali, il considerare l’Iran come il Male, lo sputare metaforicamente negli occhi di centinaia di milioni di cinesi di etnia Han, per non parlare del disprezzo palese contro la Serbia (e di nuovo lāassenza di considerazione per i serbi del Kosovo)?
Anche sul Libano, cosa abbiamo da dire se non le solite generiche accuse contro Hezbollah, come se quelli fossero alieni venuti dallo spazio e non una parte molto consistente della popolazione locale?
A chi giova lo scontro frontale e senza possibilita’ di compromesso? Cosa c’entra, con la Nonviolenza, con Gandhi, con il carattere Transnazionale di un Partito che aspirerebbe anche ad avere in se’ persone provenienti da Paesi in grave e perdurante conflitto fra loro, e tuttavia capaci di rimanere all’interno dello stesso gruppo politico, e di gestire gli inevitabili conflitti senza la evitabile violenza?
Ecco, e’ questo che non capisco. Continuero’ a sforzarmi. Speriamo peroā che qualcuno mi dia una mano a chiarire cosa vogliamo per il nostro futuro.